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Mitologia d'Impresa - Gli insegnamenti del mito greco per l'imprenditore: Il passato che non vuole lasciare spazio al futuro

  • angeloluigimarchet
  • 11 mar 2024
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 5 apr 2024

mito greco

Un giorno, seduto alla mia scrivania, mi è caduto lo sguardo su un volume un po’ impolverato, ma ben disposto sul mio scaffale: una bella edizione che raccoglie decine di storie relative al mito greco.

Quasi distrattamente, mi è venuto da pensare: da quando i miti dell’antichità hanno preso forma – prima orale e poi scritta – sono passati millenni; il mondo è cambiato in maniera profondissima, radicale e irreversibile. Eppure…

 

Eppure, i miti continuiamo a leggerli; e non solo a scuola. Spesso si trasformano in film, serie tv, cartoni animati, espressioni di uso quotidiano (…basti pensare al “tallone d’Achille”).

C’è una saggezza, in queste storie, che ha superato la prova del tempo.

Una saggezza che ha a che fare con qualcosa che affonda le sue radici molto in profondità, dentro tutti noi. Che coinvolge i grandi temi dell’umanità, ma anche le pratiche del quotidiano. Che riguarda l’esistenza individuale, ma anche – e soprattutto –quella collettiva.

 

Così mi è venuta un’idea. Provare, umilmente, ad attingere da questo patrimonio vasto e prezioso. Ed estrarne delle lezioni valide anche per la vita d’impresa. Per gli uomini e le donne che vogliono fare innovazione, con saggezza e con responsabilità.

Da questa idea è nato un libro “Mitologia d’impresa – Gli insegnamenti del mito greco per l’imprenditore”, che puoi ordinare seguendo questo link.

 

In questo blog ho deciso di riprendere, rielaborare e rendere disponibili alcuni passaggi significativi. Lo farò con cadenza regolare.

E ho deciso, qui di seguito, di prendere avvio dal principio di tutto: dai miti greci delle origini. Per capire che cosa hanno ancora da dirci, oggi.

 

***

 

“All’inizio di tutto fu Caos” scrive Esiodo nella sua Teogonia, un testo capitale per la mitologia greca, datato intorno al 700 avanti Cristo.

Caos è un gorgo buio, che risucchia ogni cosa, in un abisso senza fine, dove nulla può accadere.

Ma a un certo punto, proprio come per il Big Bang, l’equilibrio sterile si rompe.

Dentro il Caos qualcosa accade, si mette in moto, inizia a prendere forma.

 

Da questa rottura dell’equilibrio nasce Gea: la Madre Terra, la prima divinità, la dea che rappresenta la forza creatrice inesauribile.

E dalla Terra si genera Urano, il cielo stellato.

E poi i monti, i mari, l’Oceano e, per ultimo, “Crono dagli obliqui pensieri”…che “prese a odiare il padre”.

Perché questo odio?

Perché il padre è un terribile tiranno, che risospinge tutti i figli nelle viscere della madre, per paura di essere un giorno spodestato.

 

Potremmo dire che è il passato che non vuole lasciare spazio al futuro.

Si tratta di un meccanismo in cui tutti rischiamo di finire ingabbiati.

Quante volte abbiamo guardato le nuove generazioni con fare giudicante o sprezzante…e magari, più semplicemente, non siamo in grado di capirle.

Quante volte ci siamo sentiti dire: si fa così, perché si è sempre fatto così?


Il futuro non si può fermare. E se vale nel mondo degli dèi, figuriamoci quanto sia inevitabile in quello degli uomini!

 

Ma torniamo al mito.

Urano non è solo un tiranno.

È anche un illuso. 

Il futuro non si può fermare. E se vale nel mondo degli dèi, figuriamoci quanto sia inevitabile in quello degli uomini!

Siamo noi a costruire il domani, passo dopo passo, ognuno con la sua parte. E se, invece di aprire nuove strade, gettare nuove fondamenta, immaginare nuovi ponti, ci limitiamo a erigere dei muri, per restare arroccati nel passato, possiamo stare ben certi che tutto questo ci si rivolterà contro.

Il futuro abbatterà queste barriere, e noi rischieremo di finire sepolti sotto le macerie.

 

Anche il mito di Urano sembra dirci lo stesso.

Le conseguenze del comportamento scellerato di questa prima divinità saranno terribili. Suo figlio, Crono, prenderà una falce, lo evirerà e metterà per sempre fine al suo regno.

Senonché, come spesso accade, il figlio non imparerà dagli errori di chi l’ha preceduto.

E il passato sarà destinato a ripetersi…

 

***

 

Forse avete negli occhi quel celebre quadro di Francisco Goya, Saturno che divora i suoi figli, con quell’essere mostruoso e dagli occhi spiritati, intento a sbranare un corpo ormai senza testa.

Ebbene, “Saturno” è il nome che i romani diedero al greco Crono che, come racconta Esiodo, inghiotte i figli appena vengono partoriti dalla madre.

E perché compie questa terribile azione?

Di nuovo per scongiurare il rischio che qualcuno prenda il suo posto, che il futuro prenda il posto del passato.

 

E come finisce, secondo il mito?

Anche questa volta, per il tiranno finisce male.

È Rea, la consorte di Crono, a decidere di mettere fine al truce copione. Lo fa partorendo di nascosto il suo ultimogenito, Zeus, e nascondendolo in una grotta a Creta.

All’implacabile marito consegna una pietra, fasciata in panni da neonato: Crono, senza accorgersi di nulla, inghiotte anche quella.

 

Passano gli anni e il figlio – sempre nascosto – cresce, diventa ogni giorno più forte e finalmente raggiunge l’età adulta.

È tempo di sistemare le cose e di affrontare il padre.

 

A questo punto le versioni del mito si fanno discordi: c’è chi propende per un epilogo più morbido, secondo cui Zeus somministra un emetico a Crono, che finisce per rigettare i figli; secondo le narrazioni più cruente, invece, il figlio squarcia il ventre del padre per permettere la fuga dei fratelli.

Infine, il sovrano spodestato sarà incatenato negli abissi oscuri del Tartaro.


Siamo sicuri che la risposta migliore sia sempre la nostra? Siamo sicuri che le nostre soluzioni siano sempre le più efficaci?

Ma eccoci a un momento di svolta nella nostra storia delle origini.

Un momento decisivo che ci riporta dal tempo lontano del mito a una lezione attualissima per chi ha scelto la strada dell’imprenditoria.

Che cosa fa, Zeus, dopo aver sconfitto il padre e aver preso le redini del comando?

Rompe il circolo vizioso.

Come?

Innanzitutto, sempre secondo Esiodo, sono i suoi stessi fratelli a legittimare il suo ruolo.

Sono debitori a Zeus. E quindi ne riconoscono la sua figura di “primo inter pares”.

 

Non c’è bisogno di un tiranno – ci sembra dire questa storia – ma nemmeno si deve sprofondare nell’anarchia. Serve un leader riconosciuto, qualcuno che si prenda carico della responsabilità di avere l’ultima parola, quando serve. Ma che non abbia “sempre ragione”, a priori.

I classici “oneri e onori”.

Un regnante dev’essere al servizio del regno: non viceversa.

 

E Zeus sembra proprio essere all’altezza delle aspettative: non accentra tutto su di sé e come prima cosa si spartisce “le competenze” e i poteri con i fratelli maggiori. Per sé si prende la giurisdizione sui cieli. A Poseidone affida quella sulle acque. Ad Ade gli inferi. La Terra, invece, sarà condivisa tra tutti.

 

Zeus ha imparato a lasciare spazio.

Ha dato fiducia.

Se vogliamo dirla così, ha imparato a lasciare agli altri la possibilità di sbagliare.

Perché senza la possibilità di sbagliare, non c’è nemmeno la possibilità di crescere.

 

Da imprenditori, da leader, da persone, proviamo a porci queste domande: siamo sicuri che la risposta migliore sia sempre la nostra? Siamo sicuri che le nostre soluzioni siano sempre le più efficaci? Siamo sicuri che le cose non possano andare avanti anche senza di noi?

Non è che forse stiamo iniziando – pericolosamente – a pensare che gli altri siano solo un fastidio? Che chi ci sta intorno sia solo una fonte di disordine e di perdite di tempo, un peso, un pericolo?

 

***

 

Insomma, questo mito così potente non riguarda solo il rapporto tra padri e figli, tra vecchie e nuove generazioni.

Non è un’ottima metafora solo per le successioni di uomini al comando nelle grandi e piccole imprese.

Questo mito ci suggerisce una saggezza che sta ancora più a monte.

 

Lo possiamo leggere, infatti, come un ammonimento valido per tutti.

 

Ci dice quanto sia facile, quanto sia normale, cadere nella prigione dell’abitudine, nell’imitazione del passato, nell’illusione di credere di essere perfettamente sufficienti a noi stessi, di avere ragione oggi perché ieri era così.

È la prigione del proprio ego, che ci porta all’isolamento, che ci annebbia la vista e non ci fa guardare lontano.

È la condanna di Narciso (…a proposito di miti diventati espressioni proverbiali), che muore cadendo nel lago dentro cui si specchiava, innamorato di se stesso.

 

È un errore che spesso commettiamo come singoli, che spesso commettono anche le aziende. Le conseguenze possono essere drammatiche, soprattutto quando questa attitudine mentale e questo modus operandi si trascinano a lungo nel tempo.


L’equilibrio da trovare è sempre quello tra creatività e rigore. Tra un caos fecondo e un ordine necessario. Tra noi e gli altri.

 

Come rompere questo circolo vizioso?

 

La chiave di volta consiste nell’abbandonare l’impostazione rigida e direttiva e abbracciare un’impostazione flessibile e partecipativa. Distribuire le responsabilità, imparando a delegare, dando fiducia e ottenendola in cambio, moltiplicata.

Non c’è alternativa. Senza fiducia non c’è collaborazione. E l’innovazione è sempre frutto dell’unione di più teste, della convergenza di più visioni, di sinergie, dell’unione feconda tra idee diverse.

Il tempo passa. Il futuro arriva anche se non ci vogliamo credere. Sta a noi decidere: vogliamo farci travolgere? O vogliamo accoglierlo, esserne parte attiva?

 

Se la risposta è la seconda, si tratta di re-imparare a muoversi tra due poli: le persone e l’organizzazione. Due poli che si devono rinforzare a vicenda. E l’equilibrio da trovare è sempre quello tra creatività e rigore. Tra un caos fecondo e un ordine necessario. Tra noi e gli altri. Tra il guadagnare fiducia ed offrirla con attenzione. Un equilibro che non si trova mai una volta per tutte, ma che va coltivato e aggiornato continuamente.


Mitologia d'impresa: Gli insegnamenti del mito greco per l'imprenditore.

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